mercoledì 1 aprile 2009

Architetti mutanti

Si deve allo scrittore di fantascienza William Gibson l' ideazione del termine cyberspazio dal greco kyber - navigare - utilizzato nel suo romanzo Neuromancer, pubblicato nel 1984, per designare lo spazio digitale navigabile.
Gibson immagina un mondo virtuale in cui singoli individui interagiscono quasi esclusivamente tramite informazioni:
"Una rappresentazione grafica di dati ricavati dai banchi di ogni computer del sistema umano. Impensabile complessità. Linee di luce allineate nel non-spazio della mente, ammassi e costellazioni di dati. Come le luci di una città, che si allontanano".
Abbiamo cominciato a familiarizzare con il concetto di cyberspazio dalla comparsa delle tecnologie dell' informazione le IT, Information Technologies. Navigando in Internet tra i siti web si ha la sensazione di muoversi in uno spazio che, pur estendendosi in tutto il pianeta, non ha nulla di fisico essendo uno spazio di interazione sociale con regole e geografie proprie. Due ricercatori rappresentarono il cyberspazio applicando a una entità virtuale una struttura spaziale al fine, probabilmente, di fornire strumenti visibili di analisi per meglio comprendere e comunicare i complessi flussi di informazioni che affollano lo spazio della comunicazione. Si tratta di Martin Dodge e Rob Kitchin. La loro ricerca sulla geografia del cyberspazio raccoglie tutti gli studi e i lavori più significativi del mappaggio del cyberspazio. Sul loro sito l' atlante delle mappe più importanti.

http://personalpages.manchester.ac.uk/staff/m.dodge/cybergeography/

La realizzazione di mappe è fondamentale per la comprensione che noi abbiamo del mondo. Pensiamo al XVI secolo, senza la cartografia scientifica essenziale alla navigazione, sarebbe stato impossibile tracciare i nuovi confini del mondo.
Le mappe del cyberspazio possono avere riferimenti geografici o scientifici oppure no, possono essere del tutto concettuali e tipologiche o essere rappresentazioni artistiche dei mondi virtuali.
Ma veniamo a noi. Abbastanza inconsapevolmente abitiamo il cyberspazio. Sempre più frequentemente infatti questo territorio, parallelo a quello fisico, è attraversato da persone e messaggi. Va da sè che tale ambito diventi l' oggetto d' interesse dei progettisti poichè la progettazione architettonica esiste lì dove si muovono i suoi utenti.

E la scoperta di questi nuovi territori, quelli della cyberarchitettura, rivela un dettaglio molto appetibile: l' architettura proclama la sua libertà dalle costrizioni che la vincolano nel mondo fisico e cioè il sottostare alla forza di gravità.
Sta avvenendo una radicale rivalutazione dello spazio in cui l'architetto, che da sempre interpreta lo spazio, svolge un ruolo pionieristico alla ricerca di vie nuove.

Marcos Novak, universalmente riconosciuto come teorizzatore dell' architettura nel cyberspazio, afferma che "Da uno spazio addizionato deriva una realtà addizionata. Se l' architettura è l' arte il cui mezzo è lo spazio, e se la nostra comprensione dello spazio sta mutando, non dovrebbe mutare l' architettura?Non dovremmo mutare anche noi?"


E la risposta arriva da architetti prevalentemente interessati all' architettura costruita (Eisenman, Hadid, Tschumi, koolhaas, Libeskind..) che hanno espresso l' esigenza di integrare il proprio lavoro tramite il racconto e le rappresentazioni immateriali, virtuali, svincolate dai limiti del reale.
Le classiche tipologie funzionali e spaziali tendono a scomparire in ragione del costante ricorso alle tecnologia dell' informazione. A questo punto i difensori del "reale" gridano alla fine dell' architettura mentre quelli del "virtuale" alla liberazione dai vincoli del progetto.

Fonti: L. De Licio_Da cyberspazio a cyberarchitettura

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